"Che cosa significa per te la missione? Quale ricerca
ti ha condotto per tutta la tua vita, cosa hai compreso?"
A queste domande p. Carlo ha risposto raccontando...
Nel clima del Concilio
Gli studi teologici li ho fatti a Roma, all'Angelicum, proprio
ai tempi del Concilio Vaticano li. Ad essere sincero, io non
mi rendevo neanche conto di quello che accadeva realmente, ma
di fatto quelle idee che sono uscite dal Concilio a noi, giovani
studenti di teologia di allora, sono sembrate idee normali ed
è quello che poi abbiamo sempre cercato di assorbire e
di vivere. Nel 1965 ho terminato gli studi e
sono stato ordinato presbitero.
Fra i giovani
Ho chiesto ai Superiori di non fare l'insegnante, non la sentivo
la mia vita. In quello stesso anno mi hanno destinato a Parma,
allo CSAM (Centro Saveriano di Animazione Missionaria) come responsabile
nazionale dell'animazione vocazionale della Congregazione in
Italia. Erano gli anni mitici della protesta giovanile e io c'ero
in mezzo. Che cosa ho imparato? Mi dicevo: che cosa sono venuto
a portare? La Parola di Dio, ma questi giovani cosa capiscono?
Ho imparato che capivano solo quello che tu savi vivendo, !a
tua vita concreta, e mi sono detto: tu devi conoscere bene questa
Parola e poi devi essere radicale nel viverla. E' iniziato per
me il tempo della ricerca, durato poi tutta la vita, di una mia
formazione personale sulla Parola di Dio, con maestri iniziali
come Bose, il card. Martini, Silvano Faust; e Carlos Mesters
che mi entusiasmava perché mi sembrava il più concreto.
Altri biblisti e bibliste si sono poi affacciati negli anni per
guidarmi in questa formazione permanente. Intanto "stavo"
con questi giovani. Fanno paura dall'esterno, ma se tu ci vivi
in mezzo diventi il loro compagno di vita, diventa tutto più
normale e nella semplicità riesci a comunicare. Vivere
il Vangelo nella quotidianità, nella semplicità,
senza parole grosse, senza grandi attività, nella quotidianità
dei fatti concreti della vita, sia con i giovani che con la gente.
Questo è stato il primo punto che ho imparato e che poi
ho cercato sempre di portare avanti: Parola di Dio e vita condivisa,
con i giovani e con la gente. Il secondo apprendimento è
nato da una domanda che alcuni di questi giovani mi ponevano:
"Noi verremmo con te in missione, Carlo, ma non come preti
o suore, ma come giovani normali, come coppia, come famiglia.
E' possibile?". "Certo", rispondevo, incominciando
a intuire e a desiderare di realizzare un giorno che la missione
dovrebbe essere opera di una comunità cristiana, di un'équipe
che con vari ministeri la porta avanti concretamente.
Tra i baraccati a Roma
Sulla Parola di Dio vorrei aprire una parentesi, che riguarda
la mia difficoltà con la Congregazione. lo sono saveriano,
però prima non viene il nostro Fondatore, ma Gesù
Cristo. Se il Fondatore è santo, se tutti gli altri sono
santi, è perché hanno preso Gesù e la sua
Parola come punto di riferimento. Quindi per me prima c'è
sempre stata la Parola di Dio, credere ad essa e viverla. Chiaro
che poi appartieni per scelta a una famiglia carismatica e alla
sua modalità di vita; però prima di sentirmi saveriano
io mi sono sempre sentito un battezzato, un cristiano e basta.
Per me la parola del nostro Fondatore è sempre stata importante
in quanto saveriano, ma una parola sottomessa alla signoria della
Parola, quella di Dio contenuta nella Scrittura. Entrando dai
saveriani poi avevo sempre sognato
l'Asia, scartando Comboniani e Consolata che parlavano principalmente
di Africa. Volevo andare in Asia e pensavo di partire con delle
coppie. Avevo scelto la Cina, ma quando le sue frontiere sono
state chiuse, avevo optato per l'Indonesia... Sogni mai realizzati
per tanti validi motivi. Poi, sempre per animazione giovanile,
sono stato mandato in Sardegna, a Cagliari. Dopo cinque anni,
ho chiesto un periodo sabbatico e sono andato a vivere con p.
Silvio Turazzi tra i baraccati, a Roma. Mi dicevo: non aspettiamo
di vivere tra i poveri in Africa, o in America Latina, ma incominciamo
a immergerci già qui in Italia in situazioni marginali.
E' stato un anno molto bello, di vita con la gente e di ascolto
della Parola nelle case dei vicini, tutto un intreccio di giorni
condivisi con luci, ombre, cadute e continui ricominciamenti.
Lavoravo in una fabbrichetta che intrecciava il giunco ed ero
incaricato dei rapporti con i quartieri, come quello di Ostia
Nuova. Partecipavo, con altri confratelli, a una vita appassionata
di ricerca, rapporti, discussioni e scioperi ed eravamo più
di "sinistra" noi con la mentalità evangelica,
di quelli che si proclamavano comunisti. Alla fine siamo stati
richiamati all'ordine dalla Direzione Generale di allora: "0
andate in missione, o restate lì, ma fuori dalla Congregazione
e poi tu Carlo i laici non te li porti in Asia che già
fatichiamo noi religiosi". "Con il loro mestiere loro
potrebbero inserirsi - rispondevo - e per le fatiche le condivideremo
e porteremo insieme", ma, nonostante la grande discussione,
non c'è stato verso.
Prime tappe in Zaire
Allora p. Meo Elia, che era in vacanza in Italia, è venuto
a cercarmi dicendomi: "Vieni con me nello Zaire (oggi Repubblica
Democratica del Congo), dove io vivo già con dei laici".
Avendo fatto il noviziato con lui e lavorato insieme allo CSAM,
ho accolto la sua proposta e nel 1975 sono partito e sono andato
a Kiringye, nella comunità iniziata da p. Meo, a imparare
lo swahili. P. Veniero, il Regionale di allora, mi disse: "I
primi tre anni è bene che tu viva la missione nella normalità
come tutti. Ti mando perciò con p. Andrea Tam a Kasongo
in una comunità di Padri Bianchi (o Missionari d'Africa
ndr), perché poi essi lasceranno a breve questa missione
a noi saveriani". Sono così arrivato a Shabunda,
in diocesi di Kasongo, dopo la pasqua del 1976 ed è stata
una immersione molto bella nella missione classica. Lunghi safari
di una-due settimane, dove andavi con la Land Rover e il cuoco
appresso che ti faceva tutto - bello ed entusiasmante, non lo
rinnego - e ho vissuto molto bene questo periodo. La missione
di Shabunda era lunga 250 Km e in una parte c'era spazio per
realizzare il mio sogno: vivere qui con una comunità di
laici, ma la proposta è stata bocciata.
A Bunyakiri il sogno si fa realtà
Nel Capitolo generale del 1978 p. Meo Elia, che nel frattempo
si era stabilito in questa nuova zona con Emma e Luisa, è
stato eletto consigliere ed è partito per Roma. P. Veniero
mi ha proposto: "A Bunyakiri c'è bisogno di un altro
padre insieme a p. Giovanni Montesi e a un gruppetto di laici,
ti senti di inserirti?" Ci sono andato di corsa e Bunyakiri
è stata per me una rinascita, perché ho potuto
vivere quello che sognavo: la centralità della Parola
di Dio nella vita mia, della comunità missionaria e della
gente, in una Fraternità mista di preti e laici. Con semplicità
facevamo settimanalmente la Lectio tra noi e poi preparavamo
gli incontri per le numerose comunità di base del territorio,
dove ci recavamo per tre giorni ogni due mesi. Facevamo formazione
dei responsabili delle comunità e dei vari ministeri ed
era molto bello, perché formavamo vivendo con loro una
vita cristiana e missionaria immersa e tessuta nella loro vita
quotidiana. La macchina arrivava in pochissimi posti, perciò
camminavamo molto, su è giù per le colline e montagne
della nostra vasta foresta. Questo camminare per incontrare e
formare è stata per me la cosa più bella. Formavamo
leader, uomini e donne, che poi formavano a loro volta tutti
gli altri cristiani e anche i catecumeni, con quello stile di
responsabilità tipico delle comunità di base. La
formazione era compito di tutta la nostra comunità missionaria:
preti, Emma e Luisa e una coppia di Varese, Marino e Bruna coi
loro bimbi, arrivati a rendere più vivace e testimoniale
la nostra fraternità. Si discuteva, si ricercava, si proponeva,
si preparava insieme, poi ognuno faceva le cose a partire dal
suo stato di vita e con le sue capacità, ma sempre tutti
per la stessa strada e con le stesse finalità.
Con la gente
Abbiamo impostato una visita pastorale che ci ha condotti in
cinque anni a incontrare tutte le 120 comunità di base
più grandi alle quali si riferivano altre più piccole.
Stavamo in ognuna una settimana intera, vivendo con loro, lavorando
con loro, mangiando con loro, portando la Parola e anche discutendo
della necessità del progresso sociale che era necessario
raggiungere. Ciclostilavamo tre giornalini: Butembo Mpya, che
era la base della catechesi; Tuendeleshe Butembo per coscientizzare
sulle varie possibilità di promozione umana; Tujifunze
Biblia per rendere tutti i cristiani amanti della Parola e capaci
di comprenderla, applicando sempre su tutto il metodo del vedere-riflettere-agire.
Piano piano è nata in tanti e tante la capacità
di diventare protagonisti con iniziative bellissime, portate
avanti con responsabilità e creatività, senza dipendere
dall'aiuto materiale dei missionari. Non eravamo noi a prendere
decisioni al posto loro, ma lasciavamo che maturassero dalla
gente, mano a mano che acquisiva una nuova coscienza. Come una
volta che ci abbiamo messo tre anni per arrivare a delle decisioni
condivise sul matrimonio cristiano, che fossero rispettose di
alcune loro sane tradizioni culturali. Si lavorava in commissioni,
dal centro ai villaggi e viceversa e alla fine loro e anche il
Vescovo di allora, africano, erano entusiasti delle risoluzioni
prese. Noi invece, con la nostra mentalità europea, lo
eravamo un po' meno, ma era traguardo raggiunto da loro e l'abbiamo
accolto. Anche nella modalità abitativa, la nostra missione
non aveva cancelli o "attenti al cane", ma noi padri
e la famiglia vivevamo in due semplici casette e Luisa ed Emma
in una capanna in mezzo al villaggio. Pranzavamo e cenavamo serripre
insieme e le lunghe serate africane, quando eravamo in sede,
erano occasioni uniche per conoscerci meglio raccontandoci i
nostri vissuti e anche per condividere intuizioni e progetfi.
Un periodo decisamente positivo ed entusiasmante per la mia vita
missionaria.
Una necessità: formare laici missionari
Conoscevamo tanti volontari internazionali, ottima gente con
la quale c'era stima e collaborazione, ma non erano missionari
laici come era nella nostra esperienza e come anche la Chiesa
italiana in quel tempo incominciava a pensarli. Alla fine ci
siamo detti: se vogliamo laici missionari dobbiamo prepararli,
trovando la modalità giusta che rispetti le loro esigenze
di vita. Dopo tre anni di discernimento, tra noi e con i miei
superiori, abbiamo deciso di rientrare in Italia e di iniziare
e io, Emma e Luisa ci siamo offerti. Intanto in comunità
c'erano stati avvicendamenti. Era partito p. Giovanni Montesi,
eletto dai sx vice regionale ed era arrivato p. Giuseppe Mauri
che, con un discernimento con Mons. Mulindwa, allora vescovo
di Bukavu, ha preso il mio posto come parroco a Bunyakiri. lo
pensavo di restare in Italia pochi anni per avviare un qualcosa
per la formazione di questi laici missionari e poi di tornare
in Africa, ma le cose sono andate ben diversamente.
A Piombino, per formare laici missionari
Tornati in Italia, io, Emma e Luisa abbiamo cercato un posto
dove vivere e iniziare, sempre in dialogo con i miei superiori
della Direzione Generale. E' stata un'avventura, su e giù
per l'Italia, fino a che un prete di Torino ci ha indicato la
Toscana. Avevamo preparato un Progetto di Vita scritto, nel quale
esponevamo i punti essenziali di ciò che volevamo vivere
e realizzare e abbiamo chiesto udienza agli allora Vescovi della
Regione. Anche p. Meo Elia, persona aperta, intelligente e profetica,
che ci seguiva nella ricerca e a quel tempo consigliere generale,
diceva: "Ma è assurdo, un prete con due donne. E
chi vi accetta?" E invece tutti ci hanno accolti e invitati
a fermarci nelle loro diocesi. Abbiamo scelto infine di stabilirci
in quella di Massa Marittima-Piombino, quella che ci sembrava
la più bisognosa e che ci aveva spaventati di più
per la situazione ecclesiale e sociale, accolti a cuore e braccia
aperte dal grande Vescovo Mons. Lorenzo Vivaldo. Abbiamo così
iniziato a vivere nella parrocchia del Cotone, alla periferia
di Piombino, quartiere a ridosso delle acciaierie dove nessuno
dei preti diocesani voleva stabilirsi per il grande inquinamento
e per la quasi nulla partecipazione ecclesiale: su tremila abitanti
frequentavano la chiesa sette persone e tutte anziane. Anche
l'allora superiore generale dei saveriani ci aveva scoraggiati
con simpatica ironia: "Non ha senso. Quando uno vuole scegliere
i cantori per la Scala, non va a cercarli tra le voci sgraziate
dei bassifondi, ma là dove ci sono quelle belle e promettenti.
Lì non troverete mai niente!". Con un "Proviamo!"
sono partito per questa nuova avventura con Emma, perché
Luisa nel frattempo era tornata in Congo dove ancora vive oggi:
cinquant'anni di coraggiosa presenza in questa terra come missionaria
laica! Il Vescovo locale era cosciente che non ero lì
per fare il parroco tradizionale, ma per dar vita a un ambiente
formativo per laici che sceglievano di donare alcuni anni della
loro vita per la Missio ad Gentes e che, quindi, la parrocchia
che gestivamo doveva diventare una parrocchia missionaria. Ci
ha lasciati fare guardando incuriosito, facendo discernimento
con noi e approvandoci e così si sono comportati tutti
i Pastori diocesani che gli sono succeduti, certo tra aperture
e fatiche, come sempre succede nella vita reale. Per spiegare
cosa ha voluto dire far diventare missionaria la nostra prima
parrocchia e poi un'altra che mi è stata ulteriormente
affidata, ci vorrebbe un romanzo e quindi tralascio, ma ci sono
state fatte tante altre interviste in cui ho raccontato tutto
questo. Accenno solo che ci siamo continuamente basati su un
brevissimo brano del Vangelo di Marco (3, 13-15) in cui è
descritto in embrione il sogno di Gesù sulla sua Chiesa:
"Li chiamò, perché stessero con Lui (Chiesa
Comunione) e per inviarli (Chiesa Missione) ad annunciare e a
scacciare i demoni." A partire da qui, abbiamo sviluppato
missionariamente tutto il lavoro pastorale a Piombino, durato
trent'anni.
In accordo con la famiglia saveriana
Ci tengo ancora a precisare che tutto ciò che vivevo lo
facevo d'accordo con la mia famiglia religiosa, p, ima con la
Direzione generale alla quale rendevo sempre conto, poi con i
responsabili della Regione Italiana. Ho sempre cercato di partecipare
agli eventi principali della vita saveriana in Italia per essere
vicino e dialogare. C'è sempre stato questo dialogo fraterno
e anche se alcuni non hanno capito e mi hanno criticato come
uno sempre fuori dagli schemi, altri confratelli e tutti i superiori
mi hanno sorretto, e così ho e abbiamo potuto continuare
in questa avventura. Emma, soprattutto, ha sempre creduto che
la mia vita religiosa fosse profondamente da figlio del Conforti,
pastore di una chiesa diocesana e padre di missionari. Lo spero
anch'io: certo personalmente sono stato sempre onesto e lascio
ad altri il giudizio finale sul tutto.
Preti e laici, uomini e donne, in missione
Ci siamo accorti presto che per quello che volevamo realizzare
non bastavano tre anni, ma ci voleva tempo, tempo per formare
una comunità cristiana, tempo per accompagnare i laici.
Non è che uno chiede e parte, ma chiede, si forma, si
valuta e si decide insieme. I tempi di formazione erano di un
minimo di tre anni, non abitando però con noi a Piombino,
perché i laici hanno i(oro specifici impegni di vita e
di lavoro. Venivano un week-end una volta al mese, dal venerdì
sera alla domenica pomeriggio. L'esperienza formativa ci aveva
fatto capire che i giovani che si presentavano dovevano fare
prima della partenza una scelta definitiva di vita, senza giocherellare
e ci siamo ritrovati poi a far partire per la Missio ad Gentes
coppie di sposi. A quel tempo eravamo invitati sovente al CUM
di Verona, col quale c'è sempre stato un forte legame,
per contribuire alla formazione dei missionari rientrati in patria,
aiutandoli a ripensare e a reinventare in Italia, senza scoraggiarsi,
la loro esperienza missionaria. Tra i partecipanti ci fu anche
un prete di Milano, don Aldo Farina, che ascoltandoci disse:
"Quello che proponete come partenza missionaria ai vostri
laici la desidero anch'io. Il Card. Martini mi
invia in Tchad, a N'Djamena, ma la situazione è difficile
e da solo non ce la faccio. Potrei partire con le vostre coppïe?"
Ci siamo dati appuntamento in Africa per valutare con lui e con
l'allora vescovo Mons. Vandam, il quale, intuendo che i nostri
laici non erano volontari internazionali, disse: "Venite,
proviamo!" E' partita così la prima coppia, Marco
e Marta di Milano, formati da noi e inviati dalla loro Chiesa
Ambrosiana. L'esperienza con questa grande diocesi è stata
molto bella e ci ha illuminati per tutte le altre partenze con
diocesi diverse. Intanto stavano nascendo i Laici Saveriani,
Comboniani, della Consolata, ecc... ma le nostre coppie erano
laici cristiani delle loro diocesi e basta, supportati dall'impegno
formativo e di accompagnamento del nostro Centro Fraternità
Missionarie che avevamo legalmente fondato allo scopo. Per tutto
questo cammino delle nostre coppie con le loro Chiese di origine,
siamo stati negli anni punto di riferimento per diverse diocesi
italiane e qualcuna ha anche iniziato un percorso autonomo sulla
nostra falsariga. Ritorno un attimo a Milano, come esperienza
ecclesiale fortemente significativa. Sposando la nostra modalità
di formazione e di invio, ci hanno anche sostenuto coprendo il
50% delle spese in tempi in cui i laici missionari non avevano
ancora alcun contributo dalla CEI. Da Milano sono partite due
coppie, per scelte fatte direttamente da questi giovani sposi,
che vedevano nella nostra modalità di partenza la risposta
ai loro desideri di missione, vissuta in fraternità tra
laici e preti e con uno stile semplice di vita, totalmente inserito
tra la gente locale. Dopo il Tchad si è aperta la Cina,
una famiglia di Cremona con un padre saveriano, per tre anni
significativi, tra positività e grandi fatiche. Poi è
arrivato il Mozambico con una coppia di Piombino, insieme al
confratello p. Giuseppe Mauri e a un prete diocesano di Pitigliano.
Coppie e preti hanno poi continuato a formarsi e a partire per
Tchad, Mozambico e Tunisia, fino al 2015.
Chiese che diventano missionarie
Dicevamo: "Perché facciamo con le Chiese locali?
Perché sono esse che devono diventare miss,onarie e noi
dobbiamo aiutarle." Come religiosi missionari, storici e
ad vitam, saremo sempre necessari, ma vorremmo che ci fosse di
più questo lavoro con le Chiese locali, perciò
ci piacerebbe farlo insieme, anche con e tra le varie famiglie
laicali comboniane, saveriane, ecc... Un sogno da perseguire
e che si fatica a far diventare realtà. Si è andati
avanti così per trent'anni, fino a che ci siamo detti
con Emma: "Abbiamo quasi ottant'anni, è difficile
continuare, dobbiamo fare obbedienza al tempo che passa".
Era un lavoro impegnativo, sia per la formazione e sia, per me,
per il tipo di contatti che dovevo tenere tra le diocesi di provenienza
dei partenti con quelle di destinazione missionaria, con continui
viaggi, incontri, dialoghi, mediazioni. Abbiamo deciso di sospendere
la nost, a attività, sia parrocchiale che del Centro Fraternità
Missionarie e ci siamo affidati alle Direzioni Regionale e Generale.
Questi ultimi sono venuti a trovarci nel 2018 con cuore aperto
e fraterno. Poi i superiori hanno deciso: io sono stato mandato
a Modica ed Emma è rimasta a Piombino come responsabile
e animatrice della parrocchia, su mandato ufficiale dell'attuale
Vescovo.
A Modica, fra i migranti
Ho accolto la proposta della Direzione Regionale e nel 2019 sono
andato a Modica, in Sicilia, in una comunità intercongregazionale
iniziata dalla CIMI, per una presenza e un servizio nella realtà
dei migranti. Agli inizi ho fatto tanta fatica, soprattutto perché
mi sembrava più una presenza da assistenti sociali: impegni
con la Caritas, con chi sperava di trovare un lavoro, o accompagnando
in fabbrica chi l'aveva già trovato, tanti problemi a
cui rispondere... Tutto bello e necessario, mi dicevo, ma non
basta, noi missionari dobbiamo fare qualcosa di più e
di diverso. Ma cosa e come? Mi si diceva: "Più di
quello che facciamo non possiamo!". "Cominciamo a stare
con loro - rispondevo - a parlare, dialogare e ricercare insieme".
"Ma non è possibile - ribattevano - hanno i loro
lavori, le loro cose, non è che si fermano per noi!".
Ho continuato a proporre e alla fine, piano piano, ci siamo indirizzati
bene, anche per l'arrivo in comunità di suor Dorina, comboniana,
con la quale c'è stato subito un incontro e un intendersi
meraviglioso, e suor Raquel, della Consolata. Stavamo incominciando
a lavorare e a sognare anche lì... quando è arrivata
questa malattia che ora mi blocca nella nostra Casa Madre a Parma.
E' stato come avere una bella e potente macchina tra le mani
con la quale sono andato a sbattere violentemente e mi sono fatto
molto male. So che la mia vita sta per finire, ma continuo a
sognare, fidandomi di Lui...
Perché sempre ai margini?
Perché sempre ai margini della mia congregazione? E' stata
la mia sofferenza, perché ho sempre fatto tutto con il
permesso dei superiori. A Piombino, quando mi dicevano: "Decidi
cosa vuoi fare", io rispondevo: "0 da saveriano o niente!
Se non lo volete, vengo via". Mi hanno sempre lasciato andare
avanti, però con l'impressione che io avessi sempre una
idea di troppo, che fossi esagerato e troppo avanti rispetto
ai tempi che non erano maturi. Ma quando mai lo saranno? I tempi
sono maturi quando noi incominciamo. A Modica erano finalmente
maturi, perché mi avevano mandato loro. Malgrado queste
incomprensioni, però, Modica è stata per me una
esperienza bellissima con questo stare insieme, progettare e
lavorare tra famiglie missionarie diverse e io spero che Modica
continui, che qualcuno, anche tra i saveriani, continui a buttarsi
in questa significativa avventura. Sarebbe bello che i giovani
da noi vedessero gente che vive radicalmente il Vangelo e forme
concrete di vita che lo realizzano. lo ho solo cercato di vivere
questo, pur con tutti i miei limiti e povertà.
Con le donne
"Una cosa che hai visto importante è collaborare
con i laici, vivere insieme la missione, in particolare con la
donna. Come prete e come uomo, che senso e che valore aggiunto
ha significato la presenza di Emma e di altre donne nella tua
missione?"
Quando da Bunyakiri è partita l'ultima laica, prima
Emma poi Luisa, ricordo che in una chiesa una mamma aveva chiesto:
"Quando tornerà con noi un'altra "mama"?
Perché a voi padri, anche se siete bravi, le nostre cose
non ve le possiamo dire. Abbiamo bisogno di qualche donna con
noi!". lo avevo già deciso, fin dalla mia ordinazione
presbiterale, di non vivere la missione solo tra maschi, malgrado
la formazione ricevuta: attenti alle donne, attenti di qui, attenti
di là... Ero andato apposta dal padre spirituale, Amato
Dagnino e gli avevo detto: "Divento prete, ma a una condizione,
prete per gli uomini e per le donne. Se queste ultime sono un
rischio, lo corro volentieri, perché non mi sembra giusto
ignorare e tralasciare il femminile". P. Dagnino aveva sorriso,
incoraggiandomi. Avevo visto già nei gruppi giovanili
che voi donne eravate diverse, complementari. Facevamo animazione
missionaria insieme, giovani padri e Sorelle saveriane: Clara
Caselin, Lucia Molatore, Elena Loi, Tea Frigerio e si notava
la feconda diversità. Certo che c'era del pericolo, ma
stava a noi essere onesti e sinceri, come del resto devono fare
anche gli sposati. Quello che mi ha sempre fatto vivere bene
queste esperienze miste sono state la Parola di Dio riflettuta
e vissuta insieme e la conoscenza continua di sé, attraverso
gli strumenti adatti. A Bunyakiri non era più possibile
pensare a una missione senza la presenza femminile. Per le sessioni
formative degli animatori e per le visite alle comunità,
eravamo sempre un prete e una donna, ma i cristiani capivano
benissimo, ci accettavano e notavano l'influenza positiva che
esse avevano sulle loro donne. I pagani pensavano che fossimo
marito e moglie, ma non si scandalizzavano perché parlava
il nostro comportamento. Chiaro che noi preti avevamo il nostro
specifico ruolo ministeriale maschile, che però doveva
essere vissuto non da capo che domina, ma come di uno che fa
comunione, che coordina, che presiede l'Eucaristia... Oggi, con
l'avanzare degli studi biblici e teologici femministi, ci sarebbe
da discutere anche su questo che ancora ci sembra ovvio e intoccabile...
Comunque io ho sempre chiesto di andare in comunità composte
da uomini e donne, perché senza il femminile la missione
è ovvia: tra maschi si sa già cosa si fa e si dice,
invece
con una donna non lo sai mai... c'è sempre una diversa
creatività. L'ho visto anche in questo poco tempo a Modica.
Davanti a un problema io vedevo una soluzione, ma subito suor
Dorina ne aveva un'altra, anche più bella e logica della
mia, sulla quale discutevamo e trovavamo un'intesa. La cosa più
bella è proprio questa creatività che noi maschi
abbiamo di meno. Noi abbiamo forse più sviluppata la logicità,
l'inquadramento, il ragionamento, voi avete invece questa fantasia
che all'inizio ci scombussola, ma poi va a finire come dicevate
voi... In missione abbiamo spesso notato che chi corrispondeva
di più alla fiducia data erano soprattutto le donne. Quando
davamo fiducia a loro eravamo sicuri, se la davamo ai maschi
c'era sempre qualcosa che andava storto... Emma l'ho conosciuta
in Africa, non in Italia e non è stato amore a prima vista!
C'erano p. Meo Elia e p. Giovanni Montesi, con i quali si intendeva
bene. lo sono venuto dopo e per di più non sono un tipo
che parla molto, faccio piuttosto le cose piano piano, in silenzio,
con calma. Col passare del tempo però, ci siamo capiti
a fondo e abbiamo affrontato assieme tante cose. In Italia sono
venuto con lei anche lottando con chi mi diceva: "Non è
possibile, così ti stacchi dalla congregazione".
Rispondevo: "Ci proviamo e dialoghiamo!" Col dialogo
si arriva a tante cose che subito non sembrano possibili e infatti
abbiamo avuto tutti i permessi, sia dai superiori che dalle diocesi.
Certo, in Toscana inizialmente su noi due hanno detto quello
che hanno voluto, ma poi sono arrivati il rispetto e la stima
a tutto campo. Tra noi c'è stato un legame di dialogo,
di profonda amicizia e di riflessioni, inseriti nella vita della
gente e animati dall'approfondimento della Parola di Dio, continuando
la consuetudine acquisita in Africa. Ci siamo aggiornati, insieme
alle nostre comunità parrocchiali, con biblisti, bibliste,
teologi e teologhe... avanzati, una vita intensa e vivace quella
con Emma! Ho avuto questo tipo di rapporto con la donna, ma credo
che ormai è fondamentale e che non sia più possibile
fare altrimenti. Poco tempo fa anche suor Dorina, a Modica, mi
diceva: "Ma come è diverso vivere solo tra donne!
Qui in comunità mista è tutta un'altra cosa, più
semplice, vivere assieme, dialogare, confrontarsi e affrontare
comunitariamente i problemi". Vero o no, se una donna che
ha avuto il primo incarico dell'annuncio delia risurrezione,
la Maddalena, è l'aposto!a degli apostoli, perché
non possono esserlo anche tante altre donne oggi? |