Meditazione per il culto veterocattolico del 23 gennaio 2010
Chiesa episcopale St. James – Firenze

Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».

Mc 3,20-21

Cari fratelli e care sorelle,
innanzitutto desidero ringraziare per l’ospitalità ecumenica che permette a me, candidato predicatore della Chiesa evangelica valdese, di poter predicare in questa chiesa episcopale per la piccola ma attiva comunità veterocattolica di Firenze, proprio durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Una unità difficile e tormentata, anche nella prova dei fatti che vi dirò, ma che è imperativa nella parola di Nostro Signore Gesù Cristo: è Lui che ci obbliga ad essere ecumenici, non è una nostra libera scelta. Una unità che va coltivata nel rispetto delle diversità, sale e sapore delle chiese.

Il testo che il vostro lezionario propone (quello evangelico “Un giorno, una parola” propone invece per oggi un brano del Deuteronomio) è molto breve ma è di una efficacia narrativa e teologica straordinaria. I personaggi presenti sono tre: Gesù, la folla e i suoi parenti. Di Gesù si dice solo che entrò in una casa ma non si sa se per mangiare o per predicare o per fare entrambe le cose. La folla non parla ma si raduna attorno alla casa in cui entra Gesù e ciò testimonia il grande interesse che Egli comincia a suscitare. Infine i suoi parenti (che si scopre più avanti ai versetti 31-34 essere i fratelli e la madre) che vogliono riprenderselo giudicandolo in pratica un malato di mente (“E’ fuori di sé”). Anche gli scribi scesi da Gerusalemme, al versetto 22 e anche nei successivi, giudicano Gesù come posseduto da un demone, perché “Egli ha Belzebù. E scaccia i demoni con l’aiuto del principe dei demoni”. Al termine del capitolo la madre (si presuppone ovviamente Maria ma non è scritto nel testo greco e tutto il Vangelo di Marco – a differenza di quello lucano che ha proprie fonti rispetto agli altri due sinottici – è scevro da riferimenti mariani) e, appunto, i fratelli lo cercano e alcuni nella folla glielo annunciano: Gesù rinnega le parentele di sangue (“Chi sono mia madre e i miei fratelli?”) e annunzia un modello di fratellanza nella fede (“Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre”). Gesù è all’inizio del suo percorso di segni e di predicazioni che lo porterà a vivere la Passione a Gerusalemme, eppure già è sommerso dalle contestazioni, dallo scherno e dall’incredulità del potere (gli scribi), del popolo (che non lo contesta ma nemmeno lo appoggia in questa fase) e della famiglia che, lungi dal comprenderlo, pensa che sia impazzito. L’assenza del racconto della nascita e dell’infanzia di Gesù nel testo di Marco ci rivela un nesso logico interessante: non essendoci l’annunzio della venuta del Salvatore a Maria, la stessa madre di Gesù non sa che pesci prendere con questo figlio che comincia a profetizzare cose che sembrano insensate e assurde.
Il paradigma che Gesù qui ci propone è essenziale per la nostra vocazioni di cristiani: essere cristiani, infatti, non è, non può essere semplice. Un cristiano può anche arrivare, per seguire la propria vocazione nei confronti di Dio a trascurare se non rinnegare i suoi legami di sangue, d’affetto e d’amore per seguire le orme di Gesù. I nostri fratelli e le nostre sorelle sono tutti gli uomini perché tutti siamo figli e figlie di Dio e questa identità comune diventa pregnante nella dignità inalienabile di ogni essere umano.
Questa breve meditazione – scritta in fretta e furia – coincide con un periodo e con episodi importanti della mia vita l’ultimo dei quali è l’ospitalità che la comunità valdese ha dato e sta dando alle comunità rom scacciate dal loro campo di Osmannoro (Sesto Fiorentino) con una procedura disumana e degradante da un sindaco senza scrupoli che mi domando come possa andare a letto tranquillo la sera e alzarsi la mattina seguente. E’ stata ed è ancora una esperienza molto profonda, foriera di stanchezza e di arrabbiature che, tuttavia, mi ha fatto comprendere l’essenziale della missione della chiesa cristiana. Una missione che vede al primo posto la comunione della preghiera (vero carburante del cristiano) con l’azione e l’applicazione del Vangelo. La prima non sussiste senza la seconda, la seconda rischia di essere inutile senza la prima. Ecco forse noi volontari che in questi giorni abbiamo assistito queste comunità rom ci siamo un po’ sentiti (indegnamente) come Gesù in questo brano: incompresi. Di noi hanno detto di persona e sulla stampa: sono fuori di testa, al limite ingenui. Ma noi cristiani, chiamati – nel mezzo della nostra disobbedienza e del nostro peccato – ad essere testimoni di Cristo Gesù, dobbiamo sempre e comunque annunciare a parole e a fatti l’Evangelo di Salvezza e di Resurrezione che il Signore ci ha lasciato. Il Regno di Dio verrà nell’ultimo dei giorni, ma è qui ed ora che bisogna prepararlo, sporcandosi le mani con questa società demoniaca e con le istituzioni politiche indifferenti. Non bisogna aspettare il Signore passivamente ma, con i nostri errori, essere lievito per il mondo che ci circonda. Sul sito internet del quotidiano “La Repubblica”, nella cronaca di Firenze, due giorni fa è comparso un commento di un lettore sotto l’articolo che raccontava la storia di questi rom (tra cui bambini nati da meno di un mese) cacciati dalle loro precarie abitazioni: “Le istituzioni dovrebbero pensare a noi fiorentini che aspettiamo i bus sotto il freddo, altro che i rom che rubano”. Non avrei mai detto, qualche anno fa, che la città di Firenze, culla di civiltà cristiana e umanistica, potesse degradarsi a tanto. Ma è in questo contesto di una società e di una religiosità paganeggiante e opportunistica che noi cristiani, anche a costo di discriminazioni e di offese, dobbiamo aprirsi all’altro senza preclusione di alcun tipo anche di tipo confessionale e fa male pensare che la maggiore confessione cristiana della città si sia rifiutata di dare soccorso a questi 150 esseri umani solo per ripicche tra le organizzazioni di chiese differenti. Il mahatma Gandhi diceva: “Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”. Noi cristiani, alla luce del Cristo crocifisso, dovremmo ricordarcene più spesso. Amen.

Andrea Panerini

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