Riforme, Zagrebelsky: La finanza comanda
i governi, compreso il nostro
di Marco Travaglio 23 agosto 2014
Sono trascorse due settimane dallapprovazione in prima lettura,
a Palazzo Madama, della riforma del Senato. Ma, prima di commentarla,
il professor Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte
costituzionale, si è preso il suo tempo. Ciò che
ne pensa è noto. A marzo ha firmato lappello di Libertà
e Giustizia, di cui è presidente, contro la svolta
autoritaria segnata dal Patto del Nazareno per il combinato
disposto della riforma costituzionale e di quella elettorale (il
cosiddetto Italicum), beccandosi del gufo, del professorone
e del solone. In aprile ha guidato la manifestazione
di L&G a Modena Per unItalia libera e onesta.
A maggio ha inviato un lungo testo con una serie di proposte alternative
pubblicato dal Fatto Quotidiano alla ministra delle
Riforme Maria Elena Boschi, che laveva invitato a un convegno
di costituzionalisti a cui non aveva potuto partecipare: la ministra
sera impegnata a diffonderlo, ma poi non se nè
più saputo nulla. Ai primi di agosto, nel pieno delle votazioni
al Senato, ha scritto un editoriale su Repubblica intitolato La
Costituzione e il governo stile executive, in cui ha cercato
di spiegare il senso di ciò che sta accadendo. Ora accetta
di riparlarne con Il Fatto. A partire dal memorandum 2013 di JP
Morgan che, come abbiamo scritto laltro giorno, presenta
straordinarie somiglianze con lagenda Renzi.
Professor Zagrebelsky, che cosa lha colpita di più
di quel documento profetico?
Prima ancora del contenuto, del quale un conto si è discusso,
mi impressiona il fatto stesso che quel documento sia stato scritto.
E che la sua esistenza non abbia suscitato reazioni. Non fa scandalo
che un colosso della finanza mondiale parli di politica, istituzioni
e Costituzioni come se queste dovessero rendere conto agli interessi
tener conto: rendere conto, non solo tener conto.
E unintimazione neppure tanto velata ai paesi del
Sud, anzi della periferia dellEuropa, di liberarsi
delle loro Costituzioni nate dopo i fascismi e dunque
inquinate da una dose eccessiva di socialismo.Abbiamo
già sentito questa storia, ripetuta anche da noi. I fascismi
tentarono per via autoritaria di affermare il primato della politica
sulleconomia. Tutto nello e per lo Stato, dopo
che lo Stato dellOttocento aveva visto i governi al servizio
delleconomia capitalista. Le Costituzioni che si sono dati
i popoli che hanno conosciuto il fascismo, le Costituzioni democratiche
del dopoguerra, hanno cercato un equilibrio tra autonomia delleconomia
e compiti della politica, aggiungendo lelemento che i totalitarismi
avevano disprezzato e deriso: la libertà della cultura,
senza la quale economia e politica diventano oppressione e disgregazione.
Questo è un punto importante. Una società equilibrata
non vive solo di politica ed economia, ma anche di idee, ideali,
progetti e speranze comuni. Leconomia, da sola, tende allaccumulazione
della ricchezza e produce una frattura fra ricchi e poveri. La
politica, da sola, tende allaccumulazione del potere e crea
una divisione fra potenti e impotenti. Economia e politica alleate
moltiplicano gli effetti delluna e dellaltra. La cultura
libera invece può essere fattore aggregante, solidarizzante.
Lelemento essenziale per la vita sociale è che ci
sia equilibrio fra questi tre elementi. Le Costituzioni del dopoguerra,
ma anche le grandi dichiarazioni dei diritti umani (Onu nel 1948,
Convenzione europea nel 1950) hanno perseguito questo equilibrio.
Il socialismo è unaltra cosa.
Eppure la nostra Costituzione non è mai stata così
impopolare non solo presso JP Morgan e i poteri finanziari internazionali,
ma anche presso la nostra classe politica, che infatti ne sta
stravolgendo un buon terzo.Non è un fenomeno solo italiano.
Quello che accade in Italia è solo un capitolo di una vicenda
mondiale. La crisi economico-finanziaria che viviamo ha portato
allo scoperto la sudditanza della politica agli interessi finanziari.
Una sudditanza che ormai sembra diventata un destino, perché
prodotta da un ricatto al quale nessuno, pare, riesce a immaginare
alternative: il ricatto del fallimento dello Stato,
un concetto fino a qualche decennio fa addirittura impensabile
e oggi considerato come unovvietà. Lo Stato si è
trasformato in unazienda commerciale che, in caso di difficoltà,
prima del fallimento, può essere commissariato.
I politici che rivendicano a gran voce il proprio primato
e difendono la sovranità nazionale, in realtà
vogliono fare loro quello che farebbero i commissari ad acta,
nominati dalla grande finanza.
Non è poi una grande novità.
La finanziarizzazione su scala mondiale delleconomia
è una novità. Che la sua dominanza sulla politica
sia proclamata e pretesa con tanta chiarezza, anche questo mi
pare una novità: il fatto, cioè, che una simile
rivelazione avvenga senza scosse, reazioni, inquietudini. Sotto
i nostri occhi velati avvengono cambiamenti profondissimi: eppure
i segnali non sono mancati.
Per esempio?
Ricordo quando il premier Mario Monti spiegò (e poi corresse
la formula) che i governi devono educare i Parlamenti.
E i governi tecnici, e anche quelli politici
con la loro densità di banchieri e uomini di finanza nei
posti-chiave, che cosa ci dicono? Quando si sente dire tecnico,
bisognerebbe domandare: tecnico di che cosa? Di idraulica,
di fisica quantistica, di ingegneria elettronica? Non esiste la
tecnica in sé, è sempre applicata a qualcosa. Questi
governi rappresentano il mondo finanziario, con il compito di
farlo funzionare indipendentemente da tutto il resto.
Se è per questo, alla vigilia delle elezioni del febbraio
2013, il presidente della Bce Mario Draghi dichiarò che
non era preoccupato dalleventuale vittoria di forze anti-finanziarie
come i 5Stelle o la sinistra radicale perché lItalia
ha il pilota automatico.
Un altro elemento di riflessione. Questi nostri anni sono segnati
da tanti puntini sparsi qua e là. Se li unissimo, vedremmo
con una certa inquietudine delinearsi la figura dinsieme.
Quali puntini?
Alcuni li abbiamo detti. Nellinsieme, direi la paralisi
politica che si cela dietro lattivismo delle riforme: cioè
larroccamento, il congelamento di un sistema di potere.
Le elezioni che non cambiano nulla, e servono eventualmente solo
a promuovere avvicendamenti di persone; e, quando persone da avvicendare
non se ne vedono, cè la conferma delle precedenti,
come è accaduto con la rielezione del presidente della
Repubblica; le larghe intese, che sono la formula
dellimmobilismo; le riforme istituzionali, come quella del
Senato, che hanno come finalità lefficientizzazione
(mi scuso, ma la parola non è mia) del sistema, ma non
certo la sua democratizzazione; la limitazione delle occasioni
elettorali; il nuovo sistema elettorale, se confermerà
la decisione annunciata a favore della elezione dei nominati
dai vertici dei partiti; il silenzio totale sulla democrazia interna
ai partiti. Si vedrà poi che cosa accadrà circa
le misure contro la corruzione e la riforma della giustizia.
Unendo questi puntini che figura viene fuori?
E un bellesercizio per i nostri lettori
Intanto lo faccia lei per aiutarci.
Lho già detto: il disegno è la sostituzione
della politica con la tecnica delleconomia finanziarizzata.
Un cambiamento epocale, che dovrebbe sollecitare un dibattito
sui principi fondamentali della democrazia e una presa di posizione
da parte di ciascuno, soprattutto di chi sarebbe preposto istituzionalmente
a farlo. Invece niente. E badi che non sto evocando congiure o
dietrologie. Sto semplicemente osservando vicende che accadono
sotto i nostri occhi, magari mascherate dietro argomenti anche
seri ed esigenze anche giuste i costi della politica, la
necessità di snellire, semplificare, sveltire che
però ci fanno perdere il senso generale delle cose. Non
vedo persone che occupano posti di responsabilità che si
pongano la domanda fondamentale: che senso ha ciò che stiamo
facendo? E diano una risposta a sua volta sensata.
Io trovo preoccupante anche il fatto che quel documento di JP
Morgan, oltre a esistere e a dire ciò che dice, sia diventato
paro paro lagenda di Renzi e dei suoi compagni di avventura,
da Napolitano a Berlusconi.
Si tratta ben più di trasformazioni generali che piegano
le volontà dei singoli, volenti o nolenti, consapevoli
o inconsapevoli, che di buone o cattive intenzioni. Cè
una metamorfosi di sistema, nella quale si collocano tante specifiche
vicende, ciascuna dotata anche di ragioni sue proprie.
Iniziamo dal nuovo Senato.
Quando Camera e Senato sono organi pressoché identici,
come i nostri padri costituenti non vollero che fossero ma come
finirono poi per diventare, è naturale domandarsi che senso
abbia averli entrambi. Aggiungiamo un po di populismo
i costi della politica per venire incontro allantiparlamentarismo
che è una caratteristica storica dellopinione pubblica
in Italia, e il gioco è fatto. Gli abolizionisti del Senato
molti di loro almeno abolirebbero volentieri anche
la Camera dei deputati. Tutto il potere al governo: lì
ci sono i tecnici che sanno quello che fanno. Lasciamo
fare a loro. Vogliamo citare Michel Foucault?
Ma sì, citiamolo.
Foucault parlava di governa-mentalità. Che
non è la governabilità decisionista di craxiana
memoria. E molto di più: è appunto una mentalità
governatoriale. Il centro della vita politica non deve stare nella
rappresentatività delle istituzioni, ma nellagire
degli esecutivi. Una visione molto aderente a ciò che sta
accadendo: laccento posto sul governo spiega linsofferenza
dei nostri politici, ma anche di molti cittadini nei confronti
della legge, della legalità. Foucault parlò anche
di governo pastorale. Il pastore provvede al bene
del gregge caso per caso, di emergenza in emergenza: quando cè
un pericolo, quando una pecora scappa, quando il branco si squaglia.
Il governo governamentale è anche provvedimentale.
Si fa le sue regole di volta in volta, a seconda delle necessità:
le necessità sue e degli interessi per conto dei quali
opera. Il principio di legalità anche costituzionale è
contestato e depresso, non tanto in linea di principio, ma soprattutto
nei fatti.
Non vorrei che lei facesse i vari Renzi, Berlusconi & C. troppo
colti: questi semplicemente non vogliono controlli indipendenti,
né tantomeno un Parlamento forte che gli faccia le pulci.
Può essere. Ma a me pare interessante domandarsi qual è
il significato di tutto ciò. Perché è dalla
consapevolezza che nascono la azioni e le reazioni dotate di senso.
Poi, certo, cè anche il fattore umano, la qualità
delle persone. Quando ero giovane e insegnavo allUniversità
di Sassari, destate andavo a fare il bagno sulla spiaggia
di Stintino, detta La Pelosa per i suoi gigli selvatici.
Ogni tanto ci trovavo Enrico Berlinguer con la sua famiglia. Lo
ricordo quasi rattrappito nei suoi costumini lunghi e neri di
lana grezza, sotto lombrellone, intento a leggere tabulati
pieni di cifre: studiava i problemi delleconomia, i cosiddetti
dossier. E non aggiungo altro
Oltre al Senato, stanno pure riformando il Titolo V della Costituzione,
quello che regola le autonomie locali.
Nella versione originaria del 1948, il Titolo V funzionava così
così. Poi, grazie a decenni dinterventi e di decisioni
della Corte costituzionale, si trovarono aggiustamenti. Ma nel
2000, per inseguire la Lega Nord sul terreno del federalismo,
si decise di riformarlo. E, quando il centrodestra si defilò
in extremis, il centrosinistra allora al governo decise di procedere
comunque a maggioranza, con questa motivazione: dimostriamo che
la Costituzione è riformabile con le procedure che essa
stessa prevede, altrimenti rafforziamo lidea della destra
di unAssemblea costituente. Col senno di poi, oggi che il
Parlamento eletto con una legge elettorale incostituzionale sta
cambiando a tappe forzate decine di articoli della Costituzione,
viene da dire: magari si facesse unAssemblea costituente,
eletta come tutte le Costituenti col sistema proporzionale!
Quello che 14 anni fa era una prospettiva allarmante, oggi sarebbe
una garanzia di democrazia. Per dire come cambia in pochi anni
la percezione delle cose
Giusto dunque riformare unaltra volta il Titolo V?
La riforma della riforma ha le sue buone ragioni. Innanzitutto,
la cattiva prova della riforma di 14 anni fa, che ha alimentato
un contenzioso abnorme di fronte alla Corte costituzionale. Oggi
si vuole ricentralizzare, dopo aver voluto, allora,
decentralizzare. Schizofrenia impulsiva, francamente poco costituzionale.
Colpisce il silenzio generale che avvolge questo radicale cambio
di marcia: che fine han fatto tutti i tifosi del federalismo,
che nellultimo ventennio era diventato una parola magica,
una panacea per tutti i mali tanto a sinistra e al centro quanto
a destra? Mi pare che neppure la Lega stia protestando contro
questo ri-accentramento. Ecco, questo è un altro di quei
punti che ci aiutano a tracciare il disegno generale che cancella
altri spazi di democrazia. Un buon federalismo, che non moltiplichi
le poltrone e i centri di spesa, ma che promuova energie dal basso,
sarebbe un ottimo sistema di mobilitazione di forze sociali per
uscire dalla crisi con più partecipazione, più democrazia.
In fondo, la storia ci insegna che è così che si
supera il crollo dei grandi sistemi di potere. Quando venne giù
limpero di Alessandro Magno, lEllenismo fu tutto un
pullulare denergie diffuse. Quando si sbriciolò il
Sacro Romano Impero, la civiltà la trasmisero i comuni
e i conventi, ancora una volta con una spinta dal basso. Ora invece
si pensa di verticalizzare e accentrare. Sarà buona cosa?
E, se sì, per chi?
Poi cè la legge elettorale, lItalicum, che
riproduce le liste bloccate e il mega-premio di maggioranza del
Porcellum incostituzionale, e aggiunge altissime soglie di sbarramento
per tener fuori dalla Camera i partiti medio-piccoli. Così,
in due mosse, un pugno di capi-partito possono piazzare i loro
servitori nel Senato non più elettivo e nella Camera dei
nominati.
Il capitolo della legge elettorale è davvero fondamentale.
Lì si gioca il grosso della partita. Di tutte le leggi,
la legge elettorale è quella che più appartiene
ai cittadini e meno ai loro rappresentanti. Mi sorprende la leggerezza,
direi addirittura la spudoratezza, con cui i partiti trattano
questa materia, come se fosse cosa loro. Invece non lo è.
Tutto dipende dai loro calcoli dinteresse. Ma la legge elettorale
non appartiene a loro, ma a noi: perché ciò che
ciascuno di noi è, come soggetto politico, dipende in gran
parte dalla legge elettorale. Il modo in cui se ne discute fa
pensare che essi considerino gli elettori materia inerte nelle
loro mani.
Altro puntino: la riforma della Giustizia. Che il memorandum JP
Morgan equipara alla burocrazia, auspicandone la sudditanza alle
esigenze delleconomia.
Anche qui, i problemi sono molti e noti: lunghezza dei processi,
tre gradi di giudizio, sacrosante garanzie che si trasformano
in pretesti per impedire che si giunga mai alla fine, abuso della
prescrizione in materia penale, correntismo della magistratura
nel Csm, ecc. Vedremo se il governo li risolverà con soluzioni
più democratiche e aperte, nel senso di confermare le garanzie
dindipendenza dei giudizi, di promuovere luguaglianza
di tutti i cittadini di fronte alla legge, di agevolare laccesso
alla giustizia da parte dei più deboli (i tribunali dovrebbero
servire soprattutto a questo). Il punto è ancora questo:
vedremo se non si risolverà in una riforma non per la giustizia,
ma contro la giustizia e a favore di privilegi oligarchici.
Anche in materia giudiziaria si va verso una verticalizzazione
del potere in poche mani: pensiamo alla lettera inviata dal capo
dello Stato (e del Csm) a Palazzo dei Marescialli per chiudere
il caso Bruti Liberati-Robledo e affermare il potere assoluto
dei capi delle Procure sui singoli pm.
Su questo punto cè un dibattito. A me pare abbia
detto cose interessanti e sagge il nuovo procuratore di Torino,
Armando Spataro, nel suo discorso di insediamento, quando ha affermato
con forza il ruolo del procuratore della Repubblica come coordinatore
di un ufficio plurale, nel rispetto dellautonomia funzionale
dei singoli magistrati.
Vedo che, anche su questo punto, lei condivide lappello
lanciato dal Fatto Quotidiano contro la svolta autoritaria. Perché
non lha firmato?
Non per questioni di merito, ma di metodo. Un po perché
mi ha stancato laccusa di firmaiolo. Ma soprattutto perché
credo più produttivo cercare di seminare dubbi, ragionamenti
e osservazioni critiche fra quei tanti parlamentari di tutti gli
schieramenti che hanno votato obtorto collo la riforma del Senato.
La logica degli appelli e dei manifesti crea una contrapposizione
che aiuta il radicalismo ottuso di chi poi dice: facciamo le riforme
costi quel che costi, anche per dimostrare che chi non ci sta
non conta niente. E così si elimina ogni spazio di discussione
e di confronto.
Ma questa contrapposizione è nata ben prima del nostro
appello: lei sè preso del gufo, del solone e del
professorone fin da marzo, quando firmò con Rodotà
e altri giuristi il manifesto sulla svolta autoritaria.
Lo so bene, ma in Parlamento non ci sono soltanto i ministri e
i loro fedelissimi. Quelli che non hanno avuto il coraggio di
prendere le distanze hanno subìto il clima di contrapposizione
o di qua o di là che si è venuto a creare.
Ma non ritengono affatto chiusa la partita e dicono: stiamo facendo
cose che siamo costretti a fare. Ma liter della riforma
è appena iniziato, la gran parte è ancora da percorrere
e molto può ancora succedere. In questa fase, credo più
utili le critiche e le proposte alternative.
Quando lei ha inviato le sue alla Boschi, questa anziché
renderle note e discuterle nel merito le ha imboscate in un cassetto.
Può darsi che non meritassero attenzione. In ogni caso,
ormai ero già stato iscritto dufficio al partito
dei gufi che vogliono limmobilismo e che dovevano essere
sbaragliati per evitare la sconfitta del governo.
Lei sembra dimenticare che, su Senato e Italicum, Renzi e Berlusconi
hanno siglato un patto dacciaio e segreto al Nazareno il
18 gennaio, e di lì non si spostano.
Sì, ma è un accordo di vertice. Nel ventre dei partiti
ci sono tanti mal di pancia.
In ogni caso il nostro appello serve anche a mobilitare i cittadini
in vista del referendum confermativo.
Questa è una storia che si aprirà successivamente,
se sarà necessario. Quel che è certo è che,
con questi numeri in Parlamento, la riforma non otterrà
i due terzi. Dunque il referendum confermativo sarà possibile
come diritto dei cittadini previsto dalla Costituzione, non come
chiamata a raccolta plebiscitaria promossa dalle forze
governative. Che sarebbe un abuso, come già avvenne al
tempo della riforma del Titolo V su iniziativa, quella volta,
del centrosinistra. Il governo e la maggioranza che promuovono
il referendum sulle proprie riforme è il mondo alla rovescia.
Visto quel che è accaduto al Senato, mi sa che lei si illude.
Sa, io sono un vecchio gufo che appartiene allaltro secolo,
anzi allaltro millennio, al tempo delle Costituzioni democratiche
del Meridione, anzi della periferia dEuropa
E rimango legato a principi fondamentali che rappresentano conquiste
del costituzionalismo. Per questo mi auguro che chi svolge la
funzione di garante supremo della Costituzione sia fermo nel difenderli.
Spera in un intervento del presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano?
Anche in vista di un rasserenamento e di un temperamento delle
tensioni, dopo gli allarmi che abbiamo e avete lanciato e dopo
gli scontri durissimi avvenuti in Senato, chiedo se non sarebbe
auspicabile una presa di posizione formale che dica più
o meno così: La Costituzione non è un testo
sacro: può essere sottoposta a modifiche, tantè
che essa stessa ne prevede le forme attraverso larticolo
138. Ma, in quanto garante di questa Costituzione quella
del 1948 ricordo che esistono dei limiti a ciò che
si può fare e che determinano ciò che non si può
fare: princìpi fondamentali che non possono essere cancellati
o calpestati.
Quali?
La rappresentanza democratica, la centralità del Parlamento,
lautonomia della funzione politica, la legalità intesa
come legge uguale per tutti, lindipendenza della magistratura
e così via: i fondamenti del costituzionalismo. Non ultimo,
il rispetto della cultura.
Renzi & C. hanno già annunciato che tireranno diritto,
piaccia o non piaccia.
Sì. E in effetti lespressione piaccia o non
piaccia fa sorridere, se non piangere. La democrazia, a
differenza dellautocrazia, richiede a chi è chiamato
a prendere decisioni di andar persuadendo. Bella espressione:
così dice Pericle in un memorabile dialogo con Alcibiade,
raccontato da Senofonte. Prima si discute, e solo alla fine della
discussione la decisione viene presa in base ai voti. Il
piaccia o non piaccia posto allinizio ripeto
non è democrazia, ma autocrazia.
Sta di fatto che nessuno sembra scandalizzarsi neppure per la
promozione di un pregiudicato, interdetto dai pubblici uffici
e affidato ai servizi sociali, a padre costituente.
Questo, come il conflitto dinteressi, è uno di quei
problemi enormi che nessuno osa più sollevare. Purtroppo
sono argomenti che si logorano ripetendoli.
Resta lanomalia di una riforma costituzionale fatta in fretta
e furia alla vigilia di Ferragosto, con forzature regolamentari
e tempi contingentati dallo stesso presidente del Senato.
Guardi, questa storia è tutta unanomalia. Il fatto
che liniziativa di riformare la Costituzione non parta dal
Parlamento, ma dal governo. Il fatto che il governo ponga una
sorta di questione di fiducia, anzi, per dir così, di mega-fiducia
perché accompagnata dalla minaccia non delle dimissioni
per dar luogo a un altro governo, ma addirittura dello scioglimento
delle Camere per fare piazza pulita e tornare a votare. Il fatto
che una componente del Senato abbia scelto (dovuto scegliere,
secondo il proprio punto di vista) la via estrema dellostruzionismo
e a questo si siano opposte tagliole e canguri.
Tutta unanomalia che è lesatto contrario di
un clima costituente. Cè il fatto, poi, che il ddl
contenga una norma che impone alle Camere di votare (spero non
anche di approvare!) i disegni di legge del governo entro e non
oltre 60 giorni. Ecco, questi sono altri punti da congiungere,
tutti elementi della governa-mentalità di cui
dicevamo.
Senza contare il presidente della Repubblica, che sollecita continuamente
riforme-lampo perché pare che voglia dimettersi al più
presto.
Ma sa, nella Costituzione cè un solo organo a durata
variabile: il governo. Tutti gli altri hanno una durata fissa,
e quella del capo dello Stato è di sette anni. Ecco un
altro punto. Il presidente Napolitano, al momento della rielezione,
ha aderito alla supplica di chi si trovava nellimpasse e
ogni altro nome plausibile, da Romano Prodi a Stefano Rodotà,
era stato bruciato (non sappiamo ancora da chi e perché).
Tuttavia, egli stesso dichiarò allora che la sua permanenza
al Quirinale sarebbe stata a tempo. La prima volta
nella storia repubblicana. Questo fatto, avvicinandosi il momento
delle più volte annunciate dimissioni, sta creando il pericolo
di un ingorgo istituzionale, di una contrazione anomala dei tempi
e di una generale instabilità.
In un quadro, però, di immutabilità del sistema
di potere.
Beh, questo è il modo tutto italiano di uscire dalle crisi
di sistema. Lo stesso che è alla base dellattuale
governo: il massimo dellinnovazione di facciata per non
cambiare nulla nella sostanza, o ossificare quello che già
cera.
da Il Fatto Quotidiano del 22 agosto 2014